Da adolescente mi piaceva una ragazza. La scuola era appena finita quando mi accorsi di non avere più tempo. E dire che prima d'allora ero certo che le mie giornate si sarebbero ripetute all'infinito, di sicuro mai avrei potuto immaginare che una cosa così astratta come il tempo si potesse intromettere fra me e lei. Per me tutto era come prestabilito e di aspettare non m'importava. Cosa aspettassi non lo saprei dire, so solo che non avevo fretta, volevo che il nostro rapporto maturasse fino ad incontrarci a metà strada l'uno da l'altra e senza tutte le formalità che a quell'età sono richieste. Ero perlopiù bloccato e dalla timidezza, ma ripensandoci non credo che fu per questo che aspettai fino a non poterlo più fare, più che altro mi piaceva osservarla, a scuola era cosí bella e felice. Cercavo ogni giorno di avvicinarmi un passo di più e senza mai eccedere. Sognavo di corteggiarla segretamente ancora per chissaquanto, di prendermela comoda e di dare tempo al tempo. ci fossero voluti anni l avrei sposata. Sposata? Si, giá la vedevo sull'altare e pensare che di matrimoni non m'intendevo anzi le maledicevo proprio da quando era fallito quelli dei miei. Dovevo aver visto "i bellissimi" di rete quattro la sera prima. Poi andammo alle superiori in città e lì mi resi conto di averla persa, la sua bellezza avrebbe fatto stragi di ragazzi, la sua innocenza si sarebbe spezzata come un ramo secco sotto uno stivale in pelle di lucertola, e poi sapevo che a poco a poco li avrebbe provati tutti uno ad uno. Prima scoprendo e poi impugnando la punta inumidita di ognuno di loro, se la sarebbe passata sul corpo come usava fare con i suoi evidenziatori colorati. Non mi sbagliai, poco tempo dopo non la vidi più, ma su di lei sentivo molte voci. Andó così e da quel momento capii il principio di tutte le cose, il presupposto che ogni ostetrica dovrebbe infilare nell'utero prima di procedere con l'espulsione: "piccolo devi sapere che una volta uscito da quel buco partirà un conto alla rovescia che non puoi fermare ed é giusto che tu sappia che il tempo a tua disposizione non sará mai sufficiente per fare tutto quello che vuoi. Ora se vuoi uscire batti un colpo alla mamma". Realizzare che un gigantesco orologio pende sulle nostre teste mentre tutto intorno a noi é destinato a vivere girando su se stesso per milioni di anni é alquanto triste. Poi dipende dalle correnti di pensiero, gli ottimisti (che sono sempre dietro l'angolo) credono che il tempo serva per farci apprezzare quelle che loro chiamano "le piccole cose", i pessimisti piuttosto che passare i giorni guardando l'orologio che segna la propria fine preferirebbero non essere mai nati. Io so solo che avrei voluto fermare il tempo quell'ultimo giorno di scuola e altre volte in cui mi sono sentito felice, ma il conto alla rovescia non si puó fermare e di certo nemmeno le emozioni possono farlo. Tutto é in continuo movimento, e allora perché aneliamo la felicità? Perché la desideriamo se non può essere definitiva? E se non può essere stabile e definitiva non puó nemmeno essere un luogo, allora cos'è? La felicità non é altro che un moto a luogo, nient'altro. Chissà se la rivedrò mai...
lunedì 28 settembre 2015
martedì 15 settembre 2015
Claus
"[...] Al quarantaseiesimo minuto si
calmò improvvisamente, era il momento, e mi guardò negli occhi: <<Charles
con questo buio non riusciremo mai a ritrovare la strada di casa e come ti ho
già accennato io ho una fifa tremenda del buio, non ci resisto proprio! Da anni
esco di sera determinato e ben riposato, dimentico appositamente la torcia in
veranda, e credimi per uno come me non è facile dimenticarsela, poi mi spingo
il più lontano possibile dall’uscio di casa finché alle 23,45 i lampioni si
spengono e mi ritrovo da solo immerso nell’infinito tentativo di superare
questa mia paura e tornarmene a casa. Ma devi sapere che finora non ci sono mai
riuscito. Il fatto è che ciò che mi circonda è insignificante se paragonato
alla mia inquietudine>> e borbottando qualcosa s’infilò repentino in una specie
di boscaglia a lato della via, a pugni si fece strada fra i rami, ne stacco due
di netto e scomparve. Colsi la palla al balzo e intimorito da quel personaggio
proseguii per la strada senza voltarmi. Allora il suo discorso mi sfuggì, mi
preoccupavo troppo di scappare da quell’insolito tizio. Appena ritrovai la
cancellata di via Giosuè Carducci, i cavalieri se n’erano andati, spariti
insieme alla fioca luce delle luminarie, ma qualcosa dietro di me continuava a schiarire
la notte. Mi voltai e fu allora che lo riconobbi. Fuoco! Claus, il lottatore
dalle orecchie a cavolfiore era il disgraziato piromane che infiammava la
vegetazione e il fegato degli abitanti del paese. Quelle che a me parevano
pannocchie per lui erano tante fiaccole imbevute di olio. Sarebbe davvero esilarante
se i compaesani venissero a sapere che l’essere spregevole che ha disseminato
il terrore nelle loro notti d’estate, altro non è che un grosso pugile fuori
fase con la fobia del buio. L’umanità non finirà mai di sorprendermi. Mi fece
tanta tenerezza che non raccontai mai a nessuno ciò che avevo visto, ero sicuro
che prima o poi ce l’avrebbe fatta a guarire. Benché sapessi che prima di
riuscirci avrebbe appiccato ancora qualche fuocherello qua e la. Ma chi ero io
per fermarlo? Un uomo non ha il diritto di agire come meglio crede? Non voleva
far del male a nessuno, combatteva come fin da piccolo era abituato a fare,
lottava per dar sollievo al suo tormento.
Dai libri ho imparato che il principio fondamentale dell’universo è che ad ogni azione ne corrisponde una uguale e contraria. Detto ciò si capisce, o meglio così io ho capito, che dietro ogni opera di bene c’è una sventura, per lo stesso principio per cui per ogni alba c’è un tramonto, per ogni vita una morte, per ogni disastro un po’ di pace. E questo Claus lo doveva sapere. Infatti, in linea con questa teoria, l’omone rispondeva solo ai palpiti e ai brividi del suo cuore e non parve combattuto quando dovette scegliere fra se e il mais. Del resto spetta alla natura pareggiare i conti, non a noi piccoli esseri. Di certo non sarà stato un cittadino modello e nemmeno un filosofo peregrino, ma è stata la persona più umana che io abbia mai conosciuto. Finalmente vidi un adulto spogliato della retorica del giusto e dello sbagliato che si mostra per quello che è: un essere fragile e spaventato che messo all’angolo si scopre egoista e piromane. Quando si è alle corde la giustizia assume una prospettiva diversa e a quel punto anche un pugno sotto la cintura è valido: questo l’ho imparato da Claus, di certo lo doveva sapere, è un pugile. Durante la passeggiata mi confidò che degli specialisti gli avevano prescritto delle pastiglie, <<ne hanno una per tutti i gusti>> mi disse, e tanto riposo. Ma lui di notte continuava a combattere, anche a costo di incendiare il mondo intero, perché il suo istinto già sapeva che di riposo e pastiglie ci sarebbe morto, o peggio. La sua ossessione più grande? Scomparire nel nulla. In questo io e lui siamo simili."
Tratto da "Phollia"
Dai libri ho imparato che il principio fondamentale dell’universo è che ad ogni azione ne corrisponde una uguale e contraria. Detto ciò si capisce, o meglio così io ho capito, che dietro ogni opera di bene c’è una sventura, per lo stesso principio per cui per ogni alba c’è un tramonto, per ogni vita una morte, per ogni disastro un po’ di pace. E questo Claus lo doveva sapere. Infatti, in linea con questa teoria, l’omone rispondeva solo ai palpiti e ai brividi del suo cuore e non parve combattuto quando dovette scegliere fra se e il mais. Del resto spetta alla natura pareggiare i conti, non a noi piccoli esseri. Di certo non sarà stato un cittadino modello e nemmeno un filosofo peregrino, ma è stata la persona più umana che io abbia mai conosciuto. Finalmente vidi un adulto spogliato della retorica del giusto e dello sbagliato che si mostra per quello che è: un essere fragile e spaventato che messo all’angolo si scopre egoista e piromane. Quando si è alle corde la giustizia assume una prospettiva diversa e a quel punto anche un pugno sotto la cintura è valido: questo l’ho imparato da Claus, di certo lo doveva sapere, è un pugile. Durante la passeggiata mi confidò che degli specialisti gli avevano prescritto delle pastiglie, <<ne hanno una per tutti i gusti>> mi disse, e tanto riposo. Ma lui di notte continuava a combattere, anche a costo di incendiare il mondo intero, perché il suo istinto già sapeva che di riposo e pastiglie ci sarebbe morto, o peggio. La sua ossessione più grande? Scomparire nel nulla. In questo io e lui siamo simili."
Tratto da "Phollia"
domenica 13 settembre 2015
Il gusto per il nuovo
Ciò che da sempre mi colpisce del genere umano è la sua ostinata propensione a dividere, raggruppare e poi classificare qualsiasi cosa, dagli animali alle piante fino all'ultima palla di sterco. Più che di curiosità mi sembra che si tratti di una vera e propria ossessione. Entrare in un supermercato al giorno d'oggi è come salire sull'arca di Noè, qualunque varietà di frutta e verdura da ogni angolo del mondo, spezie e cereali di ogni tipo, pesci surgelati oltreoceano che nemmeno Nettuno saprebbe riconoscere, montagne di carne tagliata in milioni di modi diversi, acqua dalle sorgenti di ogni dove, insomma, tutto quello che serve per costruire piccoli mondi prêt-à-porter dove poter consumare le nostre ossessioni. Inizialmente si fa la spesa con cognizione di causa, "solo quello che mi serve" si dice, ma poi subentra la tentazione, l'infantile curiosità di maneggiare, di provare, di mettere in bocca qualcosa che non si conosce e allora qualcosa cambia, ed è inevitabile, perché questi cibi hanno il sapore e l'odore del nuovo, quello di cui tutti s'innamorano la prima volta che salgono sull'auto nuova o la prima volta che fanno l'amore. E' per questo gusto per il nuovo che i supermercati si riempiono di profumi da tutto il mondo, perché è ciò che più ci tenta, come in un gigantesco bordello a tre piani in cui a forza di maneggiare, di provare, di mettere in bocca sapori diversi si finisce per annegare nel vizio senza mai essere sazi. Perché siamo così assettati da queste vane novità? Innanzi tutto le definisco vane perché non provengono da un interessamento culturale di un qualche tipo, sono solo delle piccole distrazioni quotidiane divertenti quanto quei pupazzetti destinati presto o tardi ad essere dimenticati in qualche cantina. Allora cosa le rende così interessanti? Lo sono proprio perché sono poco impegnative e si possono buttare. Il piacere di scoprire qualcosa di nuovo non è meno travolgente del piacere di sbarazzarsene. Comprare un'auto o demolirne una per fare spazio ad un'altra sono due azioni eccitanti perché danno la sensazione di avere potere. Avere potere sulle cose, sulla natura, sui mari, sulle montagne, sui figli, sulle donne, nulla ci attrae come il potere.
domenica 6 settembre 2015
Manolo
"[...] <<Scusa ma il tuo sogno mi ha ricordato
una delle mie stramberie, piuttosto, sbaglio o hai accennato ad un dottore?
Anch’io ne ho uno o meglio l’avevo>> si è girato per ascoltarmi, è
la prima volta che lo fa, sembra contento di aver trovato qualcuno che lo possa
capire. <<Eccomi, sono qui per sentire la storia di Manolo e scoprire il
significato del nostro incontro>> lui arrossisce sussurrando come se si
vergognasse: <<Bè… Il mio dottore è uno specialista, mi segue fin da quando
ero piccolo, dice che ho una specie di deficit, ci vado da quando ho iniziato a
disegnare gli omini svolazzanti>>, ora è davvero imbarazzato, si morde le
unghie nervosamente, lo devo tranquillizzare <<Ne ho conosciuti di
ragazzi problematici e devo dirti che mi sono sempre piaciuti, in parte credo
di esserlo anch’io. Ma cosa intendi per omini svolazzanti?>>, con il dito
disegna sul suo finestrino appannato una linea orizzontale con un albero sopra
e poi in alto un omino stilizzato che sembra passeggiare nel cielo. <<Le
maestre pretendevano che i miei omini dovessero stare appoggiati sulla stessa linea
dell’albero>> indicando la linea orizzontale del terreno <<ma io non
capivo cosa ci fosse di sbagliato nel mio disegno e ogni volta che mi
sgridavano piangevo e mi mordevo le mani. Allora, una mattina la maestra parlò
con la mamma e il pomeriggio lei mi portò dal dottore>>, con una mano
cancella il disegno dal finestrino e rimette entrambe le sue mani sul volante,
<<E perché credevi che gli omini dovessero stare in cielo?>>, è di
nuovo concentrato sulla strada come se volesse tagliare il discorso, ma dopo
alcuni secondi e con il tono di chi sta dicendo un’ovvietà mi risponde
<<Perché gli uomini non sono come gli alberi!>>. Nonostante gli
anni di terapia è ancora convinto che gli uomini passeggino nel cielo e lo dice
con la convinzione di chi è consapevole delle proprie affermazioni e delle loro
conseguenze, mi ricorda Claus, il piromane. <<Anche Galileo fu considerato
pazzo perché credeva che la terra era rotonda…>> seguita a parlare mentre
il mezzo s’inoltra per una stradina sterrata nascosta dietro una cascata di
fronde selvatiche che si fanno guardiane della via. <<Noto con piacere
che la terapia non ha funzionato, ma dove stiamo andando?>> gli
chiedo, <<E’ una scorciatoia per scendere in paese, è qui che ho visto per
la prima volta gli omini svolazzanti>>. Buca dopo buca il sentiero si
apre su una breve pianura incolta che dà respiro al chiarore del sole, dal
finestrino intravedo uno stagno, <<Ci possiamo fermare un attimo? Vorrei
vedere quello stagno>>, siamo fermi e Manolo non sembra intenzionato a
scendere, <<Ti aspetto qui>> dice. Apro la portiera, i suoni della
natura mi investono esattamente come immaginavo, scendo facendo molta
attenzione ai gradini, pochi passi fra gli arbusti e lo scintillare dell’acqua
si fa intenso, mi faccio largo tra le frasche bagnate dalla rugiada del mattino,
scosto i rami e scopro di essere entrato in una specie d’oasi. Dalla punta
delle mie scarpe si srotolano catene di orchidee acquatiche che si distendono
tutte verso il centro dello stagno, sulla sponda opposta da un cespuglio s’intravedono
le orecchie buffe di un coniglio, nell’aria si ode l’inconfondibile dchàà dchàà della ghiandaia imitatrice e
questa erica a fiori rosa, che bellezza! Meglio tornare da Manolo, non vorrei
che si metta a rincorre qualche ometto svolazzante e mi lasci solo in questo
non so dove, meglio che mi sbrighi. <<L’hai visto?>> urla dal
trattore, <<Cosa?>> rispondo mentre cerco liberarmi
dall’abbraccio di alcuni ramoscelli. <<L’omino svolazzante. Guarda ce né
un altro, lassù!>> e sporgendosi punta il dito per mostrarmelo. In alto, in
lontananza, scorgo una figura nera dalle sembianze umane oscurata da un
indecifrabile gioco di ombre, è sorprendentemente simile ad un uomo. Ha gambe
lunghe e snelle attaccate ad un corpo robusto, braccia e spalle larghe sulle
quali poggia una piccola testa ovale. L’omino si sta dirigendo verso il sole
dimenandosi come se stesse per perdere l’ultimo treno delle cinque, un airone?[...]"
Tratto da "Phollia"
Tratto da "Phollia"
martedì 1 settembre 2015
"Le robe strane"
"Io immagino gli uomini come delle auto da corsa rosse
fiammanti lanciate al massimo su una lunghissima superstrada in direzione del
futuro. Tutti sono contro tutti e tutti guidano soli. Si fermano di rado al
distributore dei ricordi per fare il pieno e ripartire più carichi di prima. Ognuno
di noi è iscritto alla gara per dimostrare di essere il migliore e per superare
se stesso e gli altri. In fondo il nostro corpo cos’è se non un bolide lanciato
verso la morte? I ricordi a cosa possono servire se non a riempire il serbatoio
fino all’arrivo?
Uno stralcio di un tema di
quinta superiore? Ah sì! La traccia chiedeva una personale interpretazione del
conflitto fra progresso e tradizione, ricordo bene quel giorno perché il tema
non lo consegnai affatto e prima del suono della campanella scappai per la
paura di non poterlo più rileggere. Il professore d’italiano era un tipo
viscido e disgustoso, come il lardo che trasbordava dalla sua cinghia
strozzata, gli piaceva portare il riporto ai capelli e un sorriso collaudato
sotto i baffi regolarmente inumiditi dalla sua lingua a punta. Non lasciava che
gli alunni portassero a casa i temi, si limitava a registrare i voti e poi li
faceva sparire. A me piaceva provocarlo andando fuori traccia in ogni tema per
fargli intendere che le sue consegne, a cui era molto affezionato, non fossero
né interessanti né stimolanti. Tornando a quel foglio, ero sicuro che fosse un’
ottima opera prima, preziosa, e la volevo solo per me. Per la mia grotta, chiamavo
così la cesta della biancheria. Lì custodivo le miei storie fantastiche e i
disegni; mia mamma le chiamava “le robe strane” . Ricordo che la sera di quel
giorno guidai come se ne avessi per sempre, vagai per le strade veloci della
periferia, e iniziai a pensare ai grandi quesiti della vita e al tema, avevo da
poco la patente, ma continuai così per ore e ore, fin quando mi accorsi di
essere diventato una di quelle auto rosse fiammanti fiondate sulla superstrada
del futuro. La cosa mi fece rabbrividire. Pensai di sbattermi contro ad un muro
per lasciare la competizione, ma poi ragionai e capii che dal gioco non ci si
può ritirare. Si può distruggere il veicolo, ma l’altra parte rimane. Capii che
ciò che deve fare un buon pilota, e io lo sono, è trovare un punto nella pista
in cui l’arrivo e la partenza siano abbastanza lontani da potersi dimenticare
da dove si è venuti e dove si stava andando. Quella serata diede una forte accelerata alla mia storia. Vite
passate."Tratto da "Phollia"
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