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mercoledì 27 novembre 2013

Pallina gialla

Mi vesto di amari vestiti ogni qualvolta un cane si dimena e si stravolge in uno sciame di mosse, vantandosi di vana gloria su di un “bau” introflessivo: sapora d’invidia il derma dell’uomo geloso, sapiente della stupida filosofia canina. Smemorati, stupidi cani che già nel nome trasudano pezzi della loro stupidità: vita da cani, solo come un cane, come un cane che si morde la coda. Ma retorica tignosa e vana è quella. Ebbene, i cani sono saggi esteti! La loro cultura è un ceppo compatto ed istintivamente in accordo. Infatti in branchi inseguono la palla, senza badare a chi o a cosa l’abbia lanciata, o preoccuparsi della sua origine o provenienza: è una palla che vola in fianco a un muso impegnato ad afferrarla, al punto di dimenticare il precipizio che fa precipitare. La possibilità di avere preconcetti è stata loro negata, come è loro negata la memoria, troppo distratta e smemorata per infastidirsi dell’insostenibile e precaria esistenza. Ed eccoli, schivi, a scuotersi timori e insicurezza a fior di pelo, lasciandoli librare nell’aria, in balìa di indefinite correnti che prima o dopo porteranno la palla in volo. Questa dimensione li rende i migliori esteti che io abbia mai conosciuto poiché han designato la bellezza dell’essere come capostipite della loro scienza che a questo punto immagino sia: se la palla si sposta di punto in punto durante il suo volo, significa che esiste nello stesso modo in cui esistono i punti che tocca. La palla che esiste, saltella ogni volta che il suolo le piomba prepotentemente addosso; quindi, il suolo esiste, e noi cani, che sul suo terreno ci muoviamo, esistiamo almeno quanto la terra e il cielo; almeno quanto la pallina gialla. E se la palla si incastra su un albero, essa lo sostiene e lo rende vivo: ora l’albero potrà esistere. Questa è la forma più limpida e scarna di questo gargantuoso globo! Nella fenomenologia canina, ciascun elemento percepibile ha in comune una stessa esistenza. Dalle api al miele, dall’uomo alle macchine: di questi elementi, ci è permessa una sola, inalienabile verità; che sia il mondo di Dio, di una pecora, di un uomo, di una macchina del caffè, la cosa certa è che le cose che ci appaiono hanno in comune la stessa esistenza, che si confessa negli alberi che producono ossigeno, e nei polmoni che producono il respiro, e in molto altro. Ma la cosa fondamentale, è saper interiorizzare questa verità, non passando la vita a spremere le esistenze altrui per aggrapparsi alle proprie. È un suicidio dell’universo interiore, è la palla con le incluse cose a far funzionare la dinamo. Quadrupedi non tanto evoluti, o non abbastanza per essere capiti; ma io ora capisco le vostre ragioni fatte d’intuito. Un referendum canino nel chissà quando e chissà dove, abrogò l’uso della parola e della lingua umana, poiché considerata oltremodo inutile, deviata, involutiva per il peso della sua inconsistenza. Pallina gialla, dal colore degli astri e dei fulmini, dal colore di questo arco vitale.

Tratto da "Apolide"

L'inganno

Animali da società in cima alla scala evolutiva: è così che ci riconosciamo? Un sottile eufemismo, forse? E poi, con quale unità di misura ci crediamo più evoluti? Forse di presunzione? Differenti dagli animali per intelligenza, ma viceversa menomati e differenti da loro per non meno legittime qualità, che siano uditive, olfattive, visive. Presuntuosi guerrafondai, pensiamo che la potenza di togliere la vita al mondo sia la miglioria della specie umana. Esseri da società, ma non da branco. Esseri da società, possediamo una non invidiabile memoria, memoria che è il fulcro del pensiero, il punto archimedeo dell’intelletto che ci permette di ricordare per apprendere, ricordare per costruire e poi migliorare in cerchio fino a rincorrere l’infinito per alimentarci. La ricerca dell’infinito deriva dalla conoscenza, che a sua volta è radicata nella memoria. Come possiamo sentirci pieni, appagati, ricchi emotivamente, istantaneamente felici, se la memoria ci ricorda che non c’è nulla di stravolgente, e che è già successo altre volte, centinaia di volte in milioni di modi diversi? Ecco, come possiamo? Lei ti sfianca, lacerandoti con la sua loquace ma laboriosa attitudine al divinizzare i ricordi passati, bramando dall’interno la biologica infelicità, e dice: <> e incalza dicendo: <>. È l’inganno, e noi ci caschiamo eternamente, riempiendoci di soldi, sognando di fare carriera, sfidando i limiti che ci accomunano, in risposta al serpente tentatore della memoria, e ai consigli su come diventare speciale. Per me, è la ricerca del delirio d’onnipotenza, della droga per eccellenza, poiché in essa risiedono le biologiche follie umane dall’effetto autodistruttivo. Insaziabili, incontentabili, è naturale, fa parte di noi e così, senza stupore o scrupoli, ci ammassiamo in società che abbiamo assemblato, costruito per prolungare la vita cercando di stupirci ancora, ancora e ancora, con un figlio, e ancora un’ultima volta quando ci stupiamo del precoce incombere della morte e ci irrigidiamo pensando la nostra esistenza come una canzone di cinque minuti di rincorsa fugace verso l’essere apolide. Non penso sia niente di più di una sinfonia composta da accordi di breve emozione, e suonata da mani sudate e logore: un lungo tempo per impararla e cinque minuti per godersela. Il tempo perde la sua importanza quando non porta allo scopo, al gaio scopo. Non ritengo ingiusto o mortificante ridurre la vita a una canzone di cinque fugaci ma turgidi minuti, perché la vita è fin troppo lunga, e se non la si cavalca, poderosa lei non corre.