Claus
"[...] Al quarantaseiesimo minuto si
calmò improvvisamente, era il momento, e mi guardò negli occhi: <<Charles
con questo buio non riusciremo mai a ritrovare la strada di casa e come ti ho
già accennato io ho una fifa tremenda del buio, non ci resisto proprio! Da anni
esco di sera determinato e ben riposato, dimentico appositamente la torcia in
veranda, e credimi per uno come me non è facile dimenticarsela, poi mi spingo
il più lontano possibile dall’uscio di casa finché alle 23,45 i lampioni si
spengono e mi ritrovo da solo immerso nell’infinito tentativo di superare
questa mia paura e tornarmene a casa. Ma devi sapere che finora non ci sono mai
riuscito. Il fatto è che ciò che mi circonda è insignificante se paragonato
alla mia inquietudine>> e borbottando qualcosa s’infilò repentino in una specie
di boscaglia a lato della via, a pugni si fece strada fra i rami, ne stacco due
di netto e scomparve. Colsi la palla al balzo e intimorito da quel personaggio
proseguii per la strada senza voltarmi. Allora il suo discorso mi sfuggì, mi
preoccupavo troppo di scappare da quell’insolito tizio. Appena ritrovai la
cancellata di via Giosuè Carducci, i cavalieri se n’erano andati, spariti
insieme alla fioca luce delle luminarie, ma qualcosa dietro di me continuava a schiarire
la notte. Mi voltai e fu allora che lo riconobbi. Fuoco! Claus, il lottatore
dalle orecchie a cavolfiore era il disgraziato piromane che infiammava la
vegetazione e il fegato degli abitanti del paese. Quelle che a me parevano
pannocchie per lui erano tante fiaccole imbevute di olio. Sarebbe davvero esilarante
se i compaesani venissero a sapere che l’essere spregevole che ha disseminato
il terrore nelle loro notti d’estate, altro non è che un grosso pugile fuori
fase con la fobia del buio. L’umanità non finirà mai di sorprendermi. Mi fece
tanta tenerezza che non raccontai mai a nessuno ciò che avevo visto, ero sicuro
che prima o poi ce l’avrebbe fatta a guarire. Benché sapessi che prima di
riuscirci avrebbe appiccato ancora qualche fuocherello qua e la. Ma chi ero io
per fermarlo? Un uomo non ha il diritto di agire come meglio crede? Non voleva
far del male a nessuno, combatteva come fin da piccolo era abituato a fare,
lottava per dar sollievo al suo tormento.
Dai libri ho imparato che il
principio fondamentale dell’universo è che ad ogni azione ne corrisponde una
uguale e contraria. Detto ciò si capisce, o meglio così io ho capito, che
dietro ogni opera di bene c’è una sventura, per lo stesso principio per cui per
ogni alba c’è un tramonto, per ogni vita una morte, per ogni disastro un po’ di
pace. E questo Claus lo doveva sapere. Infatti, in linea con questa teoria, l’omone
rispondeva solo ai palpiti e ai brividi del suo cuore e non parve combattuto
quando dovette scegliere fra se e il mais. Del resto spetta alla natura
pareggiare i conti, non a noi piccoli esseri. Di certo non sarà stato un
cittadino modello e nemmeno un filosofo peregrino, ma è stata la persona più
umana che io abbia mai conosciuto. Finalmente vidi un adulto spogliato della
retorica del giusto e dello sbagliato che si mostra per quello che è: un essere
fragile e spaventato che messo all’angolo si scopre egoista e piromane. Quando
si è alle corde la giustizia assume una prospettiva diversa e a quel punto
anche un pugno sotto la cintura è valido: questo l’ho imparato da Claus, di
certo lo doveva sapere, è un pugile. Durante la passeggiata mi confidò che
degli specialisti gli avevano prescritto delle pastiglie, <<ne hanno una
per tutti i gusti>> mi disse, e tanto riposo. Ma lui di notte continuava
a combattere, anche a costo di incendiare il mondo intero, perché il suo istinto
già sapeva che di riposo e pastiglie ci sarebbe morto, o peggio. La sua ossessione
più grande? Scomparire nel nulla. In questo io e lui siamo simili."
Tratto da "Phollia"
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